Restano allarmanti i dati forniti da Legambiente in merito alla qualità delle acque di mari e laghi in Italia, con in particolare la sponda bresciana del Garda a fare da limpido esempio (ormai da tempo) su come sia necessario intervenire in modo profondo su problemi quali cattiva depurazione delle acque e scarichi abusivi.

A ribadire la gravità della situazione sono, come spesso accade, la Goletta verde e la Goletta dei laghi, che in occasione della campagna annuale di campionamento e analisi messa in campo dal 20 giugno al primo agosto mostra come siano fuorilegge il 32% delle 387 acque campionate a causa della presenza di batteri fecali.

Sono in particolare presso fiumi, canali e torrenti i punti più critici dal punto di vista dell'inquinamento, come rilevato anche sulla sponda bresciana del lago, quando lo scorso luglio erano risultati inquinati o fortemente inquinati 5 punti sui 13 campionati: presso le foci di un canale vicino la spiaggia in località Le Rive a Salò, di un torrente nei pressi del porto di Padenghe e di un rio nell’Oasi San Francesco a Desenzano le situazioni peggiori, oltre che presso le foci del torrente Toscolano e di un torrente al fianco del porto in località Santa Maria di Lugana, a Sirmione (ne avevamo parlato qui). Molto meglio invece la situazione relativa alla sponda veneta, così come pochi esempi virtuosi nel bresciano, meritevoli addirittura del riconoscimento delle "Vele Blu".

Una situazione questa che è ormai ben nota sul territorio benacense, specchio di importanti problematiche presenti ahinoi sull'intero Paese, visto e considerato come queste irregolarità costino care all'Italia. Sono infatti attive oggi quattro procedure d'infrazione comunitarie e due condanne inflitte dall'Ue per "inadempienza alla Direttiva sulle acque reflue" come ricordato da Legambiente, con un ritardo "nel portare a termine i lavori necessari a uscirne, con costi stimati in ulteriori 500 milioni di euro per il periodo di non conformità 2018-2024. Cifra stimata non dissimile dalla quota di finanziamenti introdotta con il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) che ammonta a 600 milioni di euro (2021-2026) per rendere più efficace la depurazione delle acque reflue scaricate nel mare e nelle acque interne".

"Se circa un terzo delle nostre analisi dà esito negativo ormai da diversi anni - rileva il responsabile scientifico di Legambiente, Andrea Minutolo - vuol dire che poco o nulla è stato fatto per uscire dall'emergenza depurativa. Un'emergenza cronica che ci costerà centinaia di milioni di euro nei prossimi anni, a causa del pagamento di multe che l'Europa non ci condonerà".